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Tune-in, la fine dell’utopia?

La rimozione delle radio estere dall’offerta di Tune-In in Gran Bretagna si presta a considerazioni valide per tutto il mondo.

Dando seguito alla sentenza dell’Alta Corte inglese del 1° novembre 2019, Tune-in, la popolare app per ascoltare radio in streaming, ha recentemente iniziato a limitare l’ascolto di stazioni estere in Gran Bretagna. L’Alta Corte, lo ricordiamo, si era pronunciata a seguito di una denuncia di Sony Music e Warner Music, che lamentavano la distribuzione da parte dell’app di contenuti per i quali non era stata acquisita una licenza specifica.

La musica e i media elettronici

Il rapporto fra l’industria musicale e le nuove tecnologie è stato caratterizzato da periodi di iniziale diffidenza, per non dire ostilità, fin dagli esordi della radiodiffusione. In quel caso, si finì col trovare una soluzione di reciproca soddisfazione che ha permesso ai discografici di beneficiare del passaggio radiofonico dei dischi prodotti. A un secolo di distanza, il problema si sta riproponendo con lo streaming e il podcast.

Pur riguardando solo il Regno Unito, la sentenza è così articolata da meritare, al termine dell’iter processuale, un’analisi attenta: le distinzioni fatte dall’Alta Corte, infatti, rappresentano un motivo di interesse per tutto il mondo.

La sentenza

La sentenza sembra osservare una parziale neutralità dell’applicazione, poiché la discriminante principale sembra essere l’acquisizione dei diritti di diffusione da parte delle singole stazioni radio. La Corte ha deciso che le radio del Regno Unito con regolare licenza possono essere diffuse via Tune-In; le stazioni che operano senza licenza o con licenza che non copre il Regno Unito (quelle estere, principalmente) devono invece essere rimosse; esse, infatti, a giudizio della Corte violano il copyright se permettono (volontariamente o meno) di essere ascoltate all’estero, in questo caso nel Regno Unito.

La Corte, tuttavia, ha approfondito anche il tema della responsabilità della violazione dei diritti d’autore. L’Alta Corte ha chiaramente evidenziato le responsabilità delle stazioni che consentono di essere ascoltate in zone per le quali non detengono i diritti di diffusione; le ha poste, però, sullo stesso piano di quelle dell’applicazione che le ritrasmette. Si tratta di una doppia attività di controllo, quindi, che non manca di suscitare perplessità di ordine pratico riconosciute dalla stessa Corte.

Tune-In e i diritti d’autore

In particolare, la sentenza constata la complessità della legislazione Europea sui diritti d’autore, per i quali sono forniti almeno 18 criteri. Ciò, osserva la Corte, rende difficile agli stessi operatori del settore capire se sono in regola oppure no. Appare particolarmente importante, quindi la distinzione fra le stazioni con licenza per la Gran Bretagna e le altre: per le prime, l’app agisce sostanzialmente come un apparecchio radio. Per le stazioni non in regola, invece, è corresponsabile della diffusione illecita del contenuto. E’ una doppia natura che non mancherà di far discutere in futuro.

Dobbiamo aspettarci una stretta sulle limitazioni geografiche degli streaming audio? Nel medio periodo, probabilmente sì; ma la sua ampiezza è ancora tutta da valutare. Le decisioni politiche avranno un peso importante, ma non è scontato che arrivino tempestivamente: la stessa direttiva Sat/Cab, che regola la diffusione transfrontaliera dei contenuti diffusi in simulcast, non parla esplicitamente del webcast.

Tune-In, tune out?

Dopo questa sentenza, il mito della universalità e della gratuità di Internet riceve un altro duro colpo. Questo mito, purtroppo, è stato alla base della furia distruttrice che ha smantellato numerosissimi centri di trasmissione radiofonici, ritenendoli superati e facilmente sostituibili con lo streaming audio. Ora che la situazione potrebbe cambiando, occorre avere il coraggio di rivedere molte strategie, lasciando alla radio il suo ruolo nel panorama dei media informativi.

Il caso inglese ci fornisce, nel campo musicale, un esempio di ciò che accade nei Paesi in cui Internet è oggetto di limitazioni e di censura. Se il problema dei diritti musicali, però, potrà trovare una soluzione soddisfacente anche questa volta, quello del diritto all’informazione è molto più delicato. Sarà certamente più facile mascherare forme di censura della rete dietro questioni economiche, e più difficile contrastarle via Internet.

Recentemente, la United States Agency for Global Media (USAGM) ha deciso di riattivare programmi radio diretti verso la Bielorussia, l’Ungheria e il Venezuela; a fatica, per due di questi è stato trovato spazio in antenna, con trasmissioni free to air, mentre il programma ungherese è trasmesso solo via Web. La radio rimane il mezzo principale per contrastare totalitarismi e censure attraverso la libera informazione, a patto di lasciarla in vita; le sue trasmissioni possono essere disturbate, certo, ma nulla può impedire alle sue onde di superare confini e ostacoli. Per spegnere lo streaming, invece, basta un click.

Paolo Morandotti

Professionista nel campo del software con trent'anni di esperienza, ama studiare le ricadute sociali delle tecnologie sulle quali ha realizzato vari programmi radiofonici.

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